giovedì 17 settembre 2015

Sotto la panca


Era la mia prima classe prima. Avevo avuto tante altre esperienze ma mai l'opportunità di cominciare la scuola insieme ai bambini con la prospettiva di seguirli per tutti gli anni della scuola primaria.
Ero al settimo cielo, scuola nuova, tutto da scoprire e da conoscere: colleghi, genitori, alunni, spazi, territorio. Finalmente avrei iniziato un ciclo!
Arriva il primo giorno di scuola per tutti, emozione, un po' di ansia e tanta curiosità. Conosco i 20 piccoli signori che saranno miei compagni di avventura. Per l'esattezza tredici signori e sette signore di sei anni (per qualcuno non ancora compiuti). C'è chi piange, chi si sente già a proprio agio, chi si guarda in giro stranito e attonito. Tutti comunque sono a sedere attorno ad un banco sulle piccole sedie di ferro e legno tipiche della scuola; tutti tranne uno, P, che invece ha scelto di starsene sotto il banco. Scelta curiosa e divergente. Cosa fare a questo punto? Dovevo tirarlo fuori per forza? Lasciarlo lì? Cosa avrebbero pensato i suoi compagni? E i miei colleghi? E i genitori?
Troppe domande a cui rispondere per il primo giorno di scuola, mi limitai ad osservarlo senza intervenire rimandando qualsiasi decisione ai giorni successivi sperando che il tempo avrebbe risolto tutto. La speranza però mi abbandonò ben presto: il mio amico P continuava a starsene caparbiamente sotto il banco, si alzava solo per uscire dalla classe. Cominciai a chiedere aiuto e consigli a colleghi e amici, molti non sapevano cosa dirmi, altri mi consigliavano di farlo uscire da lì e di parlarne con i genitori perché comunque era un atteggiamento strano.  Un giorno ne parlai a mia sorella che mi rispose semplicemente: ci starà bene sotto quel tavolo, ti ricordi quando eravamo piccoli che ci andavamo a nascondere sempre nei luoghi più impensabili perché lì ci sentivamo al sicuro?. Langolo tanacerto! Perché non ci avevo pensato prima? Eppure prima di diventare maestro di scuola primaria sono stato tanti anni educatore asilo nidolangolo tana rassicura i bambini facendoli sentire protetti. Il mio nuovo alunno ci stava proprio comodo sotto il banco e si sentiva molto più protetto che a sedere su una sedia. Da quel giorno provai a non osservare soltanto il suo comportamento ma ad interagire con lui come con tutti gli altri per cui gli facevo avere il quaderno, le matite e tutti gli strumenti che occorrevano per lavorare anziché sul banco sotto il banco. Allinizio rifiutò categoricamente ogni cosa gli proponessi: quando andava bene ignorava me e ciò che gli offrivo altrimenti si metteva a stracciare i fogli, a rompere le matite e a scaraventare fuori dalla sua tana tutti i materiali che aveva sottomano. Gli altri bambini osservavano incuriositi e meravigliati le dinamiche tra il loro nuovo compagno di scuola e il loro nuovo maestro. Erano affascinati dal coraggio di quel bambino che osava avere quellatteggiamento così spavaldo e provocatorio verso la figura adulta, che si permetteva di fare cose che andavano contro le regole e che nessun altro aveva laudacia di fare ed erano stupiti anche dal comportamento di quel nuovo maestro che non avevano ancora capito se non fosse in grado di imporsi. Tutti stavano alle regole di questo strano gioco collaborando con entrambi.
Giorno dopo giorno mi accorgevo che il mio amico tentava di fare ciò che gli chiedevo ma quando vedeva che non gli riusciva oppure non era soddisfatto del suo lavoro cominciava a strappare i suoi elaborati e a lanciare tutto ciò che aveva nella sua tana a giro per la classe. Non riusciva a tollerare la frustrazione dellinsuccesso e spesso era troppo severo con se stesso e non si accontentava di ciò che riusciva a fare, non accettava né di poter sbagliare né, quando riusciva, di realizzare prodotti che non fossero allaltezza delle sue aspettative. In più non voleva assolutamente essere aiutato.
Poi cerano i genitori, le reazioni dei genitori ai discorsi dei loro figli che raccontavano delle vicissitudini del loro compagno di classe che se ne stava sotto il banco. Decisi di ignorare i classici rumors partoriti dai capannelli di genitori che in ogni scuola italiana si formano ad ogni entrata e uscita della scuola. Arrivò il giorno in cui babbo e mamma del bambino in questione mi chiesero un colloquio. Mi accorsi che erano molto più in ansia di me, avevano paura che quel comportamento del loro figlio fosse rivelatore di strane patologie e che io non avessi ancora avuto il coraggio di dirglielo. Quando gli comunicai che ero convinto che il loro figlio fosse assolutamente un bambino sano e nella norma ma che non avevo ancora ben capito perché si comportasse così si rilassarono un po anche se non riuscii a convincerli della mia idea. Aggiunsi che avevo la sensazione che lentamente stavo costruendo una relazione di fiducia con il loro figlio e quindi pensavo di essere sulla strada giusta. Naturalmente bleffavo e non sapevo fare nessuna previsione di ciò che ci avrebbe riservato il futuro però avevo deciso di giocare le mie carte in questo modo e volevo andare fino in fondo
In quel periodo non passava giorno in cui non mettessi in discussione le mie scelte, e se stessi facendo unenorme stupidaggine? E se questo bambino avesse avuto bisogno di una certificazione, un sostegno, un aiuto diverso? Lansia e la preoccupazione aumentavano col passare dei giorni, ormai si avvicinavano le vacanze di Natale e avevo ottenuto poco e niente, gli altri bambini già iniziavano a leggere, scrivere e contare, cominciavano a muoversi autonomamente per la scuola; molti amici e colleghi con cui mi confidavo mi consigliavano di agire con maggior risolutezza: da una parte di impormi maggiormente con il mio alunno e dallaltra di cominciare a prospettare alla famiglia la possibilità di indagare su probabili disturbi specifici dellapprendimento o su possibili patologie.
Nonostante cominciassi a perdere il sonno su questa storia e non fossi confortato da reali miglioramenti riguardo al comportamento di P ero sicuro che se avessi seguito questi consigli  avrei perso per sempre la sua fiducia. Al contempo mi chiedevo però se il mio atteggiamento tutelasse davvero P oppure se ormai ne stessi facendo una questione donore personale. Mi trovavo da solo, attanagliato da questi dubbi, lunico conforto erano i miei alunni, che mi sembravano felici e contenti di venire a scuola e stavano diventando un bel gruppo.
Venne Natale e, dopo le vacanze, ebbi il mio regalo. Al rientro a scuola P. si sedette al banco, lo salutai e gli detti il buongiorno come facevo quando se ne stava sotto, ricevere una risposta era troppo, per ora dovevo accontentarmi della sorpresa di averlo stanato.
Nei giorni seguenti continuò a sedersi al banco ma anche a rifiutarsi di lavorare e di parlarmi ma a ricreazione cominciò a conversare con i suoi pari età. Lo vedevo sempre più integrato nel gruppo, felice e sereno di venire a scuola e di giocare con gli altri bambini. Nonostante i suoi rifiuti e le sue manifestazioni di rabbia, continuai imperterrito a proporgli lavori, compiti e attività della classe. Piano piano cominciò ad accettare gli aiuti spontanei dei suoi compagni di classe; la mattina cominciò a rispondere al mio saluto. Un giorno, eravamo ancora in pieno inverno, dopo avergli distribuito una scheda di lavoro, mi guardò e mi disse: va bene maestro questa te la faccio ma vado a lavorare sotto il banco, poi però ritorno…” avrei voluto abbracciarlo e stampargli un bacio in fronte, mi limitai a strizzargli locchio e a dargli il cinque e uscii velocemente di classe perché non riuscivo più a trattenere le lacrime di gioia e commozione. Mi chiusi in bagno e le lasciai sgorgare.
Ci vollero quattro mesi, dallinizio della scuola, prima che P stesse seduto al suo posto e altri due prima che iniziasse anche a lavorarci sopra il banco. Sei mesi di scuola durante i quali quel bambino mi aveva insegnato ad aspettare i tempi di ognuno ed avevo imparato anche che è fondamentale dare ai bambini la libertà di sperimentare luoghi e posture diversi nello stare a scuola: per tutti e cinque gli anni della scuola primaria quando P incontrava difficoltà si metteva in terra sotto il banco a lavorare finchè sotto quel banco non è più riuscito a entrarci.
Un giorno, alla fine del nostro primo anno di scuola, mentre eravamo a lavorare sugli scioglilingua, P, leggendo “sopra la panca la capra campa sotto la panca la capra crepa” mi disse: “maestro io sono il contrario della capra!”.

Matteo Bianchini

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